Matteo 10:17-20

È da poco passata la Pasqua. Noi, purtroppo, non stiamo ancora risorgendo da questa pandemia che ci accomuna tutti, al di là delle nostre pretese di essere italiani o tedeschi, del nord o del sud, dell’est o dell’ovest. È da poco passata la Pasqua, ma all’orizzonte la nostra risurrezione ancora non si vede. E il brano di Matteo ci riporta indietro, con le sue immagini e le sue parole, al venerdì santo, quando Gesù fu arrestato, portato di notte davanti a un tribunale, poi flagellato e portato al cospetto di Pilato. Quella violenza, sgrammaticata, sproporzionata, che sfigurò i corpi di coloro che la subirono, ma anche i volti di coloro che la inflissero. Quella violenza divenne paradigma, modello, possibilità, dovrei dire: una certezza, anche per coloro che erano stati chiamati da Gesù a seguirlo.

Dapprima i discepoli pensarono che seguire Gesù potesse comportare onori e riconoscenze. Poi, nel parapiglia generale dell’arresto di Gesù, ognuno cercò di salvare se stesso. Ma non era più possibile, una volta diventati discepoli di Gesù, non ci si può licenziare. Lo si è per sempre: ognuno di loro sarebbe stato per sempre un discepolo di Gesù, condividendone le gioie e i dolori, attraverso lo straordinario potere ricevuto in dono della proclamazione di una parola di vita.

È da poco passata la Pasqua, la luce si è irradiata lungo i confini e la si intravede, nonostante il buio che avvolge il mondo. E qui, in questo preciso luogo in cui siamo ora, che si resta senza parole, oppure si è capaci di parlare. È qui che si dice o si tace. La chiesa, i discepoli e le discepole di Gesù, in questo tempo non sono chiamati al silenzio, sono invitati a parlare. Sono invitati a parlare da chi guarda alla chiesa in questo tempo incerto per udire una parola che dia speranza. Mai più di ora le persone si mettono in ascolto.

In questo tempo dopo Pasqua, ma che ancora sembra un lungo e infinito venerdì santo, siamo chiamati a parlare e Gesù ci promette che non dovremo essere ansiosi su cosa diremo. Dio si assume un difficile incarico: parlare per mezzo di noi. A noi toccherà il lasciar parlare Dio attraverso di noi con una parola straniera, che viene dall’al di là della nostra piccola terra, una parola nuova, con suoni e tonalità mai sentite, giungerà sulle nostre labbra e saprà raccontare al mondo la straordinaria bellezza e potenza dell’amore di Dio, che abita le tenebre del mondo e del cuore umano, ma le attraversa e indica il giorno della risurrezione.

Raffaele Volpe